SERVONO ROMPISCATOLE PER UN FUTURO MIGLIORE

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SERVONO ROMPISCATOLE PER UN FUTURO MIGLIORE

Budo Kwai
Pubblicato da Dott. Maurizio Saravalli in Sociale · 9 Aprile 2019
SERVONO ROMPISCATOLE PER UN FUTURO MIGLIORE
Si, servono persone che riprendano a far critica in un mondo fatto sempre più di estremismi, un mondo formato da una moltitudine di repressi rassegnati che, emulando il sogno Americano, vive di pochi idoli e di molta assertività.
È nella volontà di adempiere al mio lavoro di rompiscatole (funzione base di un pedagogista) che dico la mia in merito ad un post in auge al momento su quel social, formato sempre più da persone avanti con gli anni, chiamato Face Book, cercando di far comprendere che il futuro dei nostri ragazzi non sta, nella quasi totalità dei casi, negli estremi ma nel far intuire ad essi che la qualità del futuro sta nel rimanere sempre competitivi con se stessi.
Di seguito alcuni stralci che reputo rappresentare ciò che definisco come il dubbio degli estremi di un post intitolato “A TUTTI GLI AGONISTI e AI LORO GENITORI” scritto da uno delle migliaia di tecnici sportivi di questo paese, che dello sport ne ha fatto la sua professione. Post immediatamente accolto da molte altre persone che, rivestendo a loro volta il ruolo sociale di tecnici sportivi, lo hanno preso e fatto loro in una affannosa ricerca di trasformarlo in una virale pubblicità.
Ecco alcuni passi:
“Scegliere di far praticare uno sport agonistico ai propri figli è una delle decisioni più altruistiche e masochistiche che un genitore può compiere. (…)
Dovrete vederlo piangere perché è stanco, perché perde, perché l'insegnante non è soddisfatto, perché il sabato sera i suoi amici escono e lei/lui si prepara per la gara/partita dell'indomani, (…) metterà lo sport prima di tutto il resto, (…), prenderà 108 invece che 110 all'università.(…). Provate a vedere se il sorriso del suo amichetto terminata una partita alla Play Station, è lo stesso di quando un atleta termina un allenamento. Provate a vedere se le amicizie che lega in giro sono sincere tanto quanto quelle legate nello spogliatoio. (…) Tutto ciò lo aiuterà a organizzarsi e finire l'università. Soprattutto ricordate che state dando a vostro figlio la possibilità di provare una gamma di emozioni che altrimenti non potrebbe neppure immaginare”.
Post toccante, avvincente, mi è subito piaciuto e, sinceramente, nel mio ruolo di tecnico sportivo e di padre di un ragazzo inserito in una squadra nazionale juniores sono stato sul punto di condividerlo …..
Sfortunatamente il mio lato professionale di pedagogista ha preso il sopravvento ed ha iniziato a fare un’analisi dei significati profondi di quanto riportato in quelle affascinanti frasi.
Nella mia mente è iniziato a scorrere un film con protagonisti migliaia di bambini, adolescenti, giovani uomini che, supportati da altrettanti altruisti tecnici sportivi e masochistici genitori, sudano, cadono, si lacerano, piangono, rinunciano a tutto …. per il podio, per la medaglia, per la vetta dell’olimpo.
Tennis, calcio, volley, karate, atletica, sci, rugby, basket, judo, …
Nel mio film mentale turbinano in grande quantità immagini di fanciulli intenti a lottare in una qualsivoglia gara o partita.
Nella mia mente ora vedo il podio olimpionico, … tre gradini, tre visi sorridenti …. Sento suonare l’inno nazionale …
Fantastico, mio figlio è la.
Esulto, gioisco della sua gioia, sulle mie guance una lacrima è la prova della mia felicità. Il mio bambino, … bravo, determinato, resistente alle frustrazioni, che piange e si rialza da grande campione sportivo qual è, … bravissimo a scuola, potrebbe fare di più, ha solo la media del 27, prossimamente discuterà la tesi, è dispiaciuto perché ha già fatto i conti ed ha preventivato di laurearsi con un misero 97/98 ma, d'altronde, l’impegno sportivo è sempre stato molto alto e ……….
STOP.
Riavvolgo il nastro, poso il mio sguardo su quello stesso podio ove la mia fantasia aveva collocato il mio bambino proiettato in un glorioso futuro sportivo, educativo e professionale, … non c’è,  i miei occhi esplorano l’immensa palestra gremita di bimbi e ragazzini … lui dové?
Ahh, eccolo, assieme al suo inseparabile compagno di palestra, vedo i loro visi delusi, mi avvicino lentamente, li sento parlare, ascolto … mio figlio dice che fare sport non gli piace, il compagno risponde che anche a lui non piace più, arrivo, si zittiscono per non farmi sentire, per non darmi una delusione …. l’amichetto, col visino triste mi chiede se può venire a casa nostra a giocare con mio figlio ai videogiochi, la lacrima che mi solca il viso, a cui avevo dato il valore di un sogno glorioso, sta ora a sottolineare l’amarezza che provo nel vederli tristi ed abbattuti ….
Li prendo per mano e gli dico: va bene, andiamo e mentre voi giocate vi preparo un panino con la nutella e vi apro una Coca. Il loro viso si illumina, compare un sorriso sincero.
Anche oggi è andata …. Domani decideremo se continuare con lo sport.
Siamo pragmatici … quanti fanciulli dobbiamo ancora sacrificare per poter esaltare un solo campione?
Quanti ne dobbiamo mettere sotto quel podio per sorreggerne al massimo tre di cui uno solo sarà quello che passerà la storia?
NEET (neither in employment nor in education and training), questo e l’acronimo  che sempre più affligge il nostro sistema sociale ragazzi non impegnati nello studio, né nel lavoro né nella formazione.
Sempre di più sono i  ragazzi che, in un mondo che esalta solo il migliore, il campione, il leader maximo, dove le famiglie dal figli unico premono perché esso si trovi al vertice di tutto ….. sport, scuola, società, ecc., abbandonano il sistema.
Hikikomori termine nato in quel profondo oriente che si chiama Giappone, un posto diviso in caste sociali, ove tutti devono sempre dimostrare di essere al Top e dove chi non si sente competitivo si ritira dal sistema sociale …. Hikikomori un termine che ultimamente sembra invadere anche le dinamiche e democratiche società occidentali …
È questo ciò che vogliamo?
Non è giunta l’ora di comprendere che viviamo tempi nuovi con problemi nuovi.
Tempi che vedono una sempre maggiore riduzione delle nascite autoctone affiancarsi ad una sempre maggiore globalizzazione sociale.
Tempi nei quali ad una sempre maggior richiesta prestazionale chiesta ai nostri figli si affianca una sempre maggior dispersione scolastica, sportiva, lavorativa, sociale.
Non è forse giunto il momento di avere una nuova visione dello sport, che vada oltre il tanto citato quanto ignorato Pierre de Cubertin e molto oltre ad una vetusta idea di agonismo per la conquista di una vittoria e per la soddisfazione di famiglie e allenatori frustrati?
Non è forse giunto il momento di considerare lo sport come uno strumento polivalente che, nelle mani di persone professionalmente preparate, entra in sinergia con famiglia, scuola e società per aiutare i bimbi di oggi a diventare uomini e donne domani. Strumenti atti a far vivere passioni che permettano di rimanere all’interno di regole, che aiutino ad evitare scelte di vita socialmente non condivisibili.
La necessità di far vincere una medaglia a tutti ha portato lo sport nazionale a frammentare se stesso, non riconoscendo più chi sia il vero campione, il vero vincitore. Al fianco dell’unica federazione sportiva nazionale che, ufficialmente definisce il campione nazionale per ogni sport, vi sono decine di enti promozionali riconosciuti dal CONI o meno, ognuno a replicare le attività agonistiche, le categorizzazioni i campioni. Oggi esistono i campioni, i campioni dei campioni, i campioni degli amatori e quello dei professionisti ed in questa apoteosi di medaglie e medagliati sempre più aumenta chi si considera inadeguato.
Posso comprendere che l’allenatore professionista o amatoriale veda nell’agonista campione una retta sicura e il fiore pubblicitario all’occhiello dell’associazione sportiva da lui diretta e/o allenata, ma occorre anche saper accantonare l’ipocrisia e dire all’atleta che lo sport, per la quasi totalità dei praticanti, è e sarà una più o meno breve parentesi della sua vita, una vita che vede la persona costruirsi giorno per giorno, sin dai primi vagiti, le competenze per un domani saper lavorare, saper socializzare, saper vivere in e con una famiglia, saper educare dei figli, saper invecchiare in e con equilibrio.
Essere tecnici sportivi è un grande onore che si erge sopra una montagna di oneri, il primo tra tutti il rispetto della persona che a noi si affida o a noi è affidata.
Insegnare con etica vuol dire essere in grado di comprendere, in ogni momento, se quanto stiamo chiedendo al nostro atleta è per soddisfare primariamente una nostra necessità o quella dell’educando, avendo poi l’accortezza di concentrarci primariamente su quest’ultimo.
Occorre insegnare ad essere competitivi non con gli altri ma con se stessi, inducendo una necessità di miglioramento continuo.
NB per quanto riguarda l’amicizia non è lo sport che rende amici ma le affinità di spirito, il mio più grande amico, colui con il quale divido emozioni e intimità da oltre mezzo secolo non ha mai praticato alcuno sport nella sua vita.
(Dott. Maurizio Saravalli)

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