Quando i mulini erano Bianchi

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Quando i mulini erano Bianchi

Budo Kwai
Pubblicato da Dott. Maurizio Saravalli in Sociale · 8 Agosto 2016
QUANDO I MULINI ERANO BIANCHI
Un istante dopo aver ufficializzato la presenza del Karate alle olimpiadi di Tokio del 2020 è esplosa la gioia di migliaia di maestri, praticanti o semplici simpatizzanti che, come il latore della presente, con incontenibile esuberanza hanno espresso la loro felicità inondando la rete di post.
La giusta gioia di chi aspettava questa decisione da decenni.
Ma … prima di commentare, di esprimere la mia opinione in merito, ho voluto darmi tempo, capire la profondità di questa decisione, i risvolti positivi e/o negativi, andare oltre gli slogan e i fin troppo facili populismi, ho voluto attendere per digerire, metabolizzare, capire, per fare un punto della situazione che fosse un po’ meno scontata, superficiale, ormonale. In questi frangenti vorrei avere le doti divulgative di Massimo Giuliani, che come pietra filosofale trasforma la lieta novella in una fiaba, purtroppo le mie doti comunicattive tendono spesso a soffocare quelle comunicative.
Intanto penso non sia cosa discutibile il fatto che riconoscere al Karate il diritto a partecipare a quella grande kermesse chiamata Olimpiade, sia Il giusto riconoscimento ad una disciplina che, nelle sue varie interpretazioni, da decenni fa battere i petti di milioni di persone dai 5 ai 105 anni (parafrasando un noto slogan), nel mondo.
Da questa affermazione in poi i miei pensieri, come le emozioni, si fanno confuse e difficili da mettere in debito ordine, per tale motivo continuerò con pensieri sconnessi (o forse no).
Quando i mulini erano bianchi
Ma quando mai i mulini sono stati bianchi? I mulini, quelli veri e non quelli della nota pubblicità, sono sempre stati grigi, sporchi infestati di ratti, ragni, scarafaggi e quant’altro, gli yogurt alla frutta non nascono sugli alberi, le mucche non sono color lilla e non producono tavolette di cioccolato al latte.
La pubblicità vende sogni, praticare uno sport è partecipare ad un sogno, praticare Arti Marziali è Vivere un sogno, importante è  diventare consapevoli della differenza tra sogno e realtà.
L’avvento delle arti marziali in occidente è stato per due generazioni di giovani l’occasione per entrare in un universo parallelo che offriva, come sogno, l’operare un salto evolutivo di se, del sé e, conseguentemente, dell’Io.
L’enorme diffusione di queste discipline nel mondo e l’incredibile sviluppo delle varie neonate forme collaterali da loro derivate, ci da la misura di quanto può essere potente la spinta della fantasizzazione.
La forza dell’arte marziale sta proprio in questo, nell’imparare a credere che il sogno sia realizzabile in toto.
Al piccolo fanciullo bullizzato si insegna a credere che seguendo le orme del proprio Sensei, Sifu, Maestro dir si voglia, in un imprecisato domani, riuscirà a trasformare se stesso in qualcosa di fisicamente, mentalmente e spiritualmente superiore, in un essere di un altro livello evolutivo, una trasformazione che lo porterà a passare da homo sapiens a homo Jedi (con buona pace del maestro Yoda); alla ragazza e alla casalinga frustrata si insegna a credere che dopo le dieci lezioni tenute dal pluridecorato campione mondiale quindicesimo Din, Don, Dan, di sei sette discipline “marziane” potranno fronteggiare qualunque tipologia di aggressione, che va dal marito/compagno violento, all’ex berretto verde impazzito, al capufficio con la mano morta. Non dimentichiamo poi le promesse di elevare a tutti le capacità di concentrazione (cosa si intenda con questo devo ancora capirlo), l’incremento di velocità, rapidità, forza, intelligenza, lettura del pensiero, telecinesi, bilocazione, capacità di piegare i cucchiai e, all’ultimo livello, la capacità di abbattere il nemico a distanza servendosi del proprio Qi o Ci o Ki dir si voglia.
Ma il sogno va nutrito di sogni e quando i sogni vengono inquinati con la grigia realtà ci si sveglia dal sogno e, per bella che sia la realtà, ciò che ci si para di fronte par sempre deludente rispetto al sogno.
In alcuni decenni di attività ho conosciuto tantissimi accaniti visionari sognatori (forse semplicemente spaventati ed incapaci ad accettare la dura realtà), moltissimi venditori di sogni, un buon numero di bravi praticanti consapevoli che la realtà dell’arte marziale è più affascinante del sogno e pochi ma buoni, venditori di affascinanti realtà.
A questo punto il lettore avrà tratto la sua personale conclusione in merito al mio pensiero, ovvero: il latore della presente è un acceso sostenitore del Karate sportivo e feroce detrattore del Karate tradizionale.
No, assolutamente No, niente di più lontano dalla realtà.
Semplicemente mi reputo un appassionato del “Karate fatto bene” che contrappongo al “Karate fatto male”.
Ma cosa si intende con l’uno e con l’atro?
Per “Karate fatto bene”, ma per estensione dovrei dire “Arte marziale fatta bene in quanto da alcuni anni praticante e indegno insegnante sia di karate che di JuJitsu” intendo quella disciplina che, nelle sue varie interpretazioni può essere divulgata a tutti (o quasi), indipendentemente da età, genere e condizione psicofisica, offrendo a tutti coloro che ad essa si avvicinano, di soddisfare le proprie personali e più disparate esigenze (sempre che siano realizzabili e non infantili sogni), al massimo delle proprie potenzialità, riducendo il più possibile il divario tra Essere e Poter Essere.
Il Karate di tutti e per tutti è il Karate di chi vuol primeggiare in ambito agonistico, ma anche di chi vuol acquisire maggior sicurezza in merito alla propria incolumità personale, di chi vuole acquisire una più profonda conoscenza del proprio Sé e del proprio Io, di chi vuole praticare una bella e sana disciplina Ludico Educativo Tecnico Motoria in un ambiente ove la cultura, acquisita dai tecnici di riferimento, sia tale da ridurre al minimo il rischio di traumi, anomali usure del sistema articolare, dove si sappia gestire con professionalità la richiesta di sovraccarichi del sistema cardiovascolare in funzione dell’età e delle condizioni fisiche dell’atleta, con lo scopo principe di permettere al praticante di poter vivere il suo personale sogno, indipendentemente dall’età raggiunta e sino a quando corpo e spirito lo consentiranno…..
E il “Karate fatto male”?
Bè … il suo esatto opposto.
Cari praticanti non abbiate paura, come diceva un famoso Papa, il Karate alle Olimpiadi non toglie nulla a nessuno ma aggiunge nuovi sogni ad una moltitudine di ragazzi in età agonistica che, in un mondo difficile come il nostro, potrebbero trovare in una sano ambiente sportivo un luogo più educativo di quello offerto dalla strada.
Abbiate paura cari “Maestri”, perché Karate alle Olimpiadi vuol dire esaltazione della/e professionalità, vuol dire divulgare in modo più tecnico e scientifico, vuol dire stare attenti ad appellarsi alla tradizione quando non si riesce a rendere un gesto tecnico efficace ed efficiente, vuol dire spiegare come mai si è voluti rimanere fuori da un circuito che permette il raggiungimento di alte vette agonistiche, per rimanere in gruppo settario a potere verticale. Vuol dire anche studiare, studiare, studiare (Shirai nel 1959 si qualifica al primo posto nei campionati universitari, questo vuol dire: 1) che l’indiscusso grande maestro alle sue origini era un agonista, con buona pace dei detrattori della versione sportiva delle arti marziali; 2) che, sempre l’indiscusso grande Maestro era iscritto all’università e come lui tanti altri grandi Maestri, con buona pace di chi considera come unico sapere valido ciò che viene divulgato per tradizione orale).
Il problema maggiore nelle Arti Marziali è comprendere la differenza tra coloro che vendono Sogni e coloro che vendono realtà. A tal proposito si chiede soprattutto ai genitori di cercare di comprendere chi è quel soggetto al quale affidano la cosa più preziosa che possediamo ovvero … la nostra prole.
Diffidate sempre da chi stimola l’aggressività adducendo come motivo che occorre imparare a difendersi dal cattivo mondo che ci circonda (non sempre l’attacco è la miglior difesa soprattutto quando attacchiamo uno che ha a disposizione un buon avvocato), diffidate di chi ha come unico obbiettivo il raggiungimento di risultati agonistici, brucerà tutti i fanciulli non in grado di garantirgli fama ed onori (l’eterno frustrato panchinaro del calcio), diffidate di chi si esprime solo con termini e atteggiamenti orientaleggianti con l’aria di nostrano Bodhidharma è probabile che il paravento nasconda il baratro della non conoscenza.
N.B. A tutti i nostalgici della tana delle tigri, agli estimatori della tecnica segreta del dito Uxi del grande maestro Sifu, dei seguaci del maestro personale alla Myaghi, ricordo che viviamo un mondo globalizzato ma frammentato, ove tutti sono educati sin da piccoli ad essere contro tutti, dove le guerre si confondono col terrorismo, il terrorismo con la normale delinquenza, la delinquenza con l’uxoricidio, il parricidio, l’inanticidio e quant’altro … ebbene lo Sport (con la S maiuscola), unisce e lo Sport Olimpico in particolare è la dimostrazione che in questo Mondo tutti i paesi possono confrontarsi in uno stesso luogo, con le stesse regole, indipendentemente da genere, etnia, fede politica o religiosa, tendenze sessuali e, con le Paralimpiadi, ci si può confrontare indipendentemente dalle condizioni psicofisiche.
La Realtà supera sempre il Sogno … se abbiamo il coraggio di guardarla in faccia e viverla appieno


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