Non è un paese per giovani sportivi

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Non è un paese per giovani sportivi

Budo Kwai
Pubblicato da Dott. Maurizio Saravalli in Sociale · 12 Aprile 2019
Perché parlare di sport come problema giovanile quando i problemi che ci attanagliano sembrano essere molto più importanti?
Potremmo parlare di dispersione scolastica.
Potremmo parlare di uso e abuso di alcool e sostanze psicotrope.
Potremmo parlare di apatia e mancanza di obbiettivi.
Potremmo parlare di disoccupazione giovane al 50% e oltre.
Potremmo parlare di ascensore sociale bloccato verso l’alto.
Potremmo parlare di un generalizzato senso di maggior aggressività generalizzata.
Potremmo parlare di …….
E allora perdiamo tempo a parlare di un po’ di ginnastica giovanile?
Ok … lo sport fa bene al fisico, mantiene in salute (traumi a parte), ma vuoi mettere le cose a cui deve pensare un ragazzo serio che proietta se stesso in un ipotetico domani, … cose importanti come studio, lavoro, famiglia (sempre che questa non vada ad inficiare il rendimento sul lavoro e non ne parliamo se è donna).
E allora lo sport?
Lo sport è un buon passatempo, se non impegna eccessivamente mamma e papà, se non richiede comprensione da parte del corpo docente, se non impegna cognitivamente i dirigenti sportivi.
Ma allora a cosa serve creare una passione sportiva in un figlio?
-          Forse … a fargli conoscere, sin dai primi anni, quell’eterno sconosciuto che si chiama Sé corporeo.
-          Forse … a tenere il proprio figlio in un ambiente protetto e foriero di regole socialmente condivise.
-          Forse .. a fargli comprendere precocemente che ogni traguardo è figlio di impegno, dedizione e caparbietà.
-          Forse … a fargli capire che prima di ogni discesa vi è una salita, che ogni caduta lascia cicatrici ma quasi mai impedisce di continuare la corsa.
-          Forse … a fargli comprendere la differenza tra la strada giusta e quella più comoda.
-          Forse … per non dover sperare che, in età adolescenziale, abbia la necessità di frequentare sistemi sociali inappropriati.
-          Forse, e ripeto forse, per far comprendere che chi vive la passione per qualcosa che sente suo, che genera una motivazione per lottare per degli obbiettivi a lungo termine, qualcosa che fa piangere, ridere, gioire, che permette di conoscere luoghi, amici, informazioni non necessita MAI di sostanze che alterano la propria mente, che generano un nocivo benessere virtuale.
-          Semplicemente perché, forse, chi vive per degli obbiettivi non necessita di sostanze psicotrope atte a soddisfare momentanei momenti di pseudo benessere.
Ovunque si sente parlare di lotta repressiva alla droga e alla dipendenza in generale (anche il gioco può diventare una dipendenza), ma nessuno parla di educazione, di sostegno alla formazione e raggiungimento di obbiettivi.
Perché?
Forse perché parlare di repressione è più facile.
Per la repressione il compito spetta alle forze dell’ordine e, se in un luogo ci sono troppi spacciatori, la colpa e di chi deve tenere pulito il territorio.
Per l’educazione il compito è di tutti, partendo dalla famiglia, passando per il corpo docente, arrivando sino a coloro che si occupano di attività extracurriculari come i tecnici sportivi, i volontari di oratori, gruppi scout, ecc.
Ma se vogliamo salvare i nostri ragazzi dalle tentazioni del mondo dobbiamo essere i primi ad offrire spunti di passione, faticosi ma eccitanti, stressanti ma esaltanti, difficili ma non impossibili.
Noi adulti, noi educatori, noi referenti di un mondo che lasceremo nelle loro mani
Ma purtroppo si sa … educare è difficile, per educare occorre essere autorevoli, molto più facile è optare per l’autorità che permette di incolpare chi è ufficialmente deputato a reprimere le situazioni problema.
Nell’educare ognuno è colpevole, nel reprimere la colpa è dello stato.
Ma possiamo, anzi dobbiamo, decidere se lottare per togliere lo spacciatore e la peripatetica dalla strada o se educare i nostri figli a non averne bisogno
Ma analizziamo ora le difficoltà che trova un ragazzo che viva, che voglia vivere o a cui si offra la possibilità di vivere, un obbiettivo sportivo ai massimi livelli, in un sistema sociale ed educativo di un paese, come il nostro, ove l’individualismo ha raggiunto livelli parossistici.
L’atleta:
Ci sono varie tipologie di atleti riconducibili comunque tutte a due macrostrutture, l’amatore e l’agonista.
Lo sportivo amatore, che comprende la stragrande maggioranza dei praticanti di attività sportive, è colui che pratica un’attività ludico motoria per un piacere prettamente personale, è colui che gode delle sensazioni fisiche derivate da quella particolare attività motoria (calcio, fitness, volley, Karate, ecc., ecc.), prova soddisfazione nel percepire la propria destrezza nel gestire uno strumento semplice o complesso (sci, tennis, vela, corse, ecc. ecc.), è colui che prova piacere nel frequentare un ambiente sociale (calcetto del venerdì, gruppo ciclistico della domenica, zumba, ecc., ecc.).
In questa categoria inserisco anche tutta la fascia giovanile preagonistica (under 12 anni), spesso spinti ad una pratica da genitori che vedono, nella disciplina di indirizzo, una risposta a potenziali obbiettivi futuri per il figlio, o semplicemente come momentaneo utile parcheggio (il bambino per un’ora fa ginnastica e non è dipendente da terminali video, come smartphon, tablet, ecc.).
Per tutti questi soggetti la passione è limitata al qui e ora, l’attività può essere smessa in qualunque momento, l’investimento emotivo è relativo, che sia per motivi di lavoro, di studio, famigliari o per semplice cessato piacere nella pratica, posso in un istante decidere di fare qualcosa d’altro o smettere del tutto.
Se prendiamo la fascia adolescenziale di questa categoria noteremo che oggi è quella più a rischio. Grande è la dispersione soprattutto scolastica, tra l’altro in ambito curriculare oltre al generalizzato disimpegno possiamo notare una tendenziale focalizzazione su obbiettivi di basso livello e basso impegno come una sempre maggiore scelta verso scuole professionali minimaliste. D'altronde cosa ci si può aspettare in un paese che lamenta carenza di medici e non assume medici, lamenta carenza di ingegneri e delocalizza le grandi aziende, che lamenta carenze educative e non dà importanza agli educatori?
In antitesi troviamo lo sportivo agonista che, a sua volta, si distingue in agonista amatoriale e agonista di alto livello di interesse nazionale.
Ora, escludendo il calcio, che nel nostro paese vive in uno stato di grazia e beatitudine (se mio figlio fosse un calciatore di interesse nazionale non avrei problemi nella scelta tra sport e istruzione), tutti gli altri sono costretti a vivere, a livello esponenziale in funzione del livello sportivo raggiunto, una caterba di problemi senza che vi sia nessuno che, nei loro confronti, offra l’adeguato aiuto.
Beata America ove un atleta importante viene sostenuto direttamente dalla scuola di appartenenze perché a questa dà ad essa lustro.
L’agonista di alto livello non ha vita sociale (a letto presto soprattutto il fine settimana in attesa della gara del giorno dopo, non fuma, se beve lo fa moderatamente), se deve prendere un medicinale lo chiede al medico federale onde evitare problemi al controllo dopping. Nei suo confronti tutti hanno aspettative, la famiglia che nei risultati del figlio vede la conferma dell’immagine di buoni genitori o di un riscatto sociale, la società sportiva alla caccia di medaglie in grado di polarizzare sponsor e contributi, la scuola che vive questa situazione come un disturbo e chiede comunque prestazioni non differenziate, se stesso che nel risultato sportivo vede la conferma dei propri investimenti cognitivi, psichici e fisici.
L’agonista di alto livello, soprattutto se non praticante lo sport nazionale, deve avere un carattere fortissimo per non cedere ….
-          Che sport fai?
-          faccio canoa, (tiro a segno, equitazione, ciclismo …..)
-          ah si …. Bello
-          che sport fai
-          gioco a calcio in serie c2
-          fantastico, la fanno vedere la partita in TV?
Che forza di volontà deve avere un nuotatore per fare vasche per ore e ore, tutti i giorni della settimana, tutti i mesi dell’anno sapendo di non essere assolutamente considerato in questo mondo?
Che forza psicologica deve avere per non abbandonare tutto, lasciarsi andare con il gruppo del muretto, che riempie il tempo tra una birra e una canna?
È difficile portare avanti un obbiettivo sportivo diverso da quello imperante, in un paese che vede il valore dei tuoi traguardi come il nulla nell’infinito cosmico.
La famiglia
Primo soggetto educativo è lei, la tanto vituperata famiglia, che sia ristretta o allargata, che comprenda la tradizionale mamma e papà, o due mamme o due papà, o solo la mamma o solo il papà, o anche nonni, zii e cugini, baby sitter e animali vari da compagnia, è lei la prima fonte di regole che il bambino trova sulla strada della vita.
Sino a pochi decenni orsono, la famiglia era spesso la piccola cellula di un sistema sociale vissuto, soprattutto nelle piccole comunità.
Partecipe se non coorganizzatrice delle numerose feste e sagre paesane, che fossero di carattere religioso o politico, la famiglia e conseguentemente i figli sentivano la necessità di essere parte di un tutto. Il controllo era sociale, l’adulto nel campetto oratoriale era il padre di tutti, le regole erano comuni. Con questo non che io voglia dire che si stava meglio quando si stava peggio, ma semplicemente che le regole erano maggiormente condivise e riconoscibili, che la lotta, anche politica per un miglioramento sociale era più sentita e maggiormente vissuta.
Ma tutto cambia, tutto si evolve (o si involve), cade il muro di Berlino e con esso le ideologie, i nazionalismi, riscoperti negli ultimi lustri a pseudo protezione di una globalizzazione commerciale selvaggia e senza regole. Al NOI comunista o fascista che fosse, la nuova droga chiamata individualismo sostituisce l’IO.
IO sono, quindi IO valgo, e dopo di me ….. il diluvio.
La famiglia, da cellula di una società, velocemente e ferocemente si trasforma in una monade a sua volta composta da tante singole monadi, tante quanto sono i componenti della famiglia, animali da compagnia compresi. Ogni soggetto con le sue esigenze da rispettare, si perché la vita è una ed ognuno deve viverla appieno, anche ignorando le esigenze di altri.
Il fanciullo oggi cresce attorniato da ogni ben di Dio … al primo pianto la pappa, al secondo il gioco interattivo, al terzo lo smartphone, ecc.
Il bambino non sente più la mancanza di nulla, se non la mancanza del desiderio, quello vero, quello che nasceva dalla mancanza … quella vera, quel desiderio originato dalla necessità che metteva in moto la fantasia e generava costruttive risposte alla necessità. Il pargolo, sempre più circondato da adulti la cui funzione sembra oggi essere diventata anche quello di compagno di giochi oltre che carta di credito senza plafond, sente anche un’altra carenza … quello del genitore in grado di essere autorevole e autoritario quando deve, il genitore guida, il genitore in grado di sostenere il figlio nei momenti di vera necessità.
Il genitore in grado di investire soprattutto il proprio tempo e le proprie energia a supporto del figlio e non solo le proprie economie.
Un figlio sportivo oggi necessità di grandissimo sostegno.
Per un giovane, che in età adolescenziale rinuncia a sesso droga e rock and roll per seguire una passione sportiva, vi sono genitori che hanno rinunciato ad una miriade di fine settimana al mare, al lago, ai centri commerciali, che hanno fatto migliaia di chilometri per accompagnare i loro figli sin da infanti nei luoghi più reconditi del nostro paese, che hanno trascorso mattinate, pomeriggi e serate in palestre e/o campetti spesso scalcinati per, se tutto va bene, una medaglietta ricordo di latta e questo per anni, sino a quando, guadagnato lentamente la capacità di autogestione il figlio lentamente vola con le proprie ali.
Ma quanti sono quei genitori disposti ad annullare se stessi sino all’indipendenza di un figlio per assicurargli il mantenimento di una passione?
Non occorre fare solo i tassisti, pagare le rette, la tuta o le attrezzature …. Occorre mostrare vero interesse per ciò che fa, occorre far a lui/lei percepire che siamo orgogliosi della sua scelta anche se è un’attività a cui non abbiamo mai dato interesse (prima).
Quanti papà ho visto ascoltare con le cuffiette la partita in un angolo nascosto della palestra, mentre i loro figli davano il massimo per farli felici.
Pensandoci bene comunque sempre molto pochi, perché se lo sport non è il calcio il più delle volte il tassista è la madre, si perché nella maggioranza dei casi è la mamma che accompagna il fanciullo all’allenamento e/o alla gara di nuoto, tennis, karate, judo, ecc.
Servono genitori in grado di proiettarsi in avanti, in grado di comprendere quali rischi e difficolta possano trovare i nostri figli lungo il percorso della vita, in grado di stare al loro fianco non per sorreggerli, ma per incitarli a rialzarsi una volta caduti, per aiutarli a creare quella serie di competenze necessarie a gestire il loro futuro di Uomini e Donne.
La scuola
Altra nota dolente di questo nostro paese, altro grande scoglio nei confronti di una scelta tendente ad impedire altre scelte di vita impegnative e complesse.
La scuola, come qualunque altro ente, non è una struttura monolitica ma un insieme di persone che, in teoria (il condizionale è d’obbligo), dovrebbero muoversi all’unisono per creare competenze, non solo curriculari ma anche e soprattutto di vita, sul soggetto discente a loro affidato che, ormai da un quinto a un terzo della sua vita, è ingabbiato in questa farraginosa struttura.
Una scuola, quella di oggi, fatta di tanti professionisti con voglia di fare e di apprendere, docenti e dirigenti che comprendono e si evolvono, professionisti del sistema educativo in grado di cogliere quali siano le caratteristiche richieste a questi ragazzi domani nel loro futuro ruolo di lavoratori, genitori ed esseri sociali, con la volontà di assecondare e aiutare il ragazzo a trovare il proprio posto nel mondo.
Ma … purtroppo la nostra è anche la scuola vetusta, delle persone chiuse, intransigenti, indifferenti alle necessità, cristallizzate nel loro ruolo di trasmettitori di informazioni o di gestori strutturali, persone che considerano l’abbandono da parte di uno, dieci o cento discenti un sopportabile danno collaterale. Persone per i quali solo il migliore “deve” raggiungere quell’ambito traguardo del foglio di carta a cui lo stato riconosce un valore.
Un mondo ove ancora vince il perfetto dualismo cartesiano, ove la “res cogitans”, ciò che è spirituale ma potremmo dire ciò che è cognitivo, viene ben distinta dalla “res extensa” ovvero da ciò che è fisico e corporale, le necessità fisiche alla dipendenza degli obblighi cognitivi.
Ma dove finisce il pensiero e comincia il corpo?
Dove finiscono le emozioni ed iniziano le pulsioni?
Pochi docenti e dirigenti scolastici riescono o sono interessati a comprendere lo stress psicofisico a cui sono assoggettati gli atleti agonisti soprattutto quelli di alto livello, quasi a nessuno importa dello stile di vita quasi asociale a loro richiesto (per il semplice uso di un medicinale devono sentire il medico federale per non rischiare una positività ad un controllo dopping).
Ragazzi che, se non calciatori super stipendiati, sono consapevoli che dal giorno della fine della loro carriera sportiva dovranno vivere con le competenze create in giovinezza, consapevoli che la scuola non è un inutile e pesante orpello ma lo strumento che, forse, aiuterà loro a trovare con più facilità un posto nel mondo della vita comune, terminata quella delle privazioni sportive.
Se ben pochi sono interessati a conoscere e capire le rinunce ed ai sacrifici imposti e autoimposti a questi ragazzi per il raggiungimento di obbiettivi nazionali e internazionali, ancora meno sono coloro che vedono in loro quelle potenziali e importanti competenze direttive e autodirettive da loro sviluppate durante la loro carriera sportiva.
Future persone in grado di comprendere il significato di farsi carico di una responsabilità, in grado di reclutare grandi risorse necessarie per portare avanti obbiettivi importanti, capaci di resistere alle frustrazioni per lungo tempo, di mantenere la capacità di visualizzare la meta senza farsi distrarre dai vari stimoli della vita.
Ma per aiutare dei ragazzi a diventare uomini e donne occorrono professionisti del sistema educativo in grado di andare oltre alla semplice trasmissione di un’informazione curriculare, occorrono educatori capaci di assecondare, aiutare il ragazzo nella sua sfida contro il tempo, il tempo per allenarsi, il tempo per gareggiare, il tempo per studiare, il tempo di permanenza scolastica, il tempo indispensabile per un minimo di vita sociale, un tempo che vola, che non basta mai.
Servono insegnanti in grado di offrire più tempo, più energie, con la volontà di sfidare le proprie competenze educative con lo scopo di offrire stimoli in grado di permettere al soggetto dalla doppia e importante vita professionale (sport – studio), di trovare metodi sempre più raffinati per massimizzare le energie e il tempo a disposizione, per rendere più efficace ed efficiente il, metodo di studio. Insegnati capaci di divulgare in miriadi di modi diversi una medesima informazione, in grado di far comprendere quale sia la vera essenza di ciò che stanno insegnando, di far comprendere come questa si relazioni con il rimanente scibile da apprendere nel mondo scolastico.
Insegnanti che vanno oltre al lavoro di docente, professionisti del sistema educativo e non solo formativo.
I tecnici sportivi
Ulteriore nota dolente è il tecnico sportivo un soggetto che, spesso in modo completamente inconsapevole, modifica, plasma, trasforma la persona a lui affidata o che a lui si affida, dal punto di vista osteomuscolare, cardiovascolare, neurologico, psicologico, culturale, valoriale, ecc.
Il paese Italia è, in questo caso, il top della democrazia, in barba a sconosciuti decreti legislativi e regole, che dovrebbero assicurare che questo divino ruolo di forgiatore di essere umani sia nelle mani di persone preparate e competenti, nel nostro paese tutti possono aprire un corso di qualsivoglia attività ludico educativo tecnico motoria, ovvero una disciplina sportiva.
Il più trofico della palestra tiene il corso di pesistica, chi ha già fatto un paio di corsi di latino americani insegna a ballare, il bolso e appesantito ex calciatore diventa automaticamente “Mister”, colui che viene eletto cavaliere, ricevendo una cintura nera da uno dei tanti guru di arti marziali diventa automaticamente “Maestro” con il diritto di aprire una propria società sportiva (che logicamente devolve una quota dei proventi al guru al vertice della piramide), ecc. ecc.
Un mondo free lance, ove basta vantare una qualche pseudo conoscenza, possedere un pizzico di carisma e grande autostima e il gioco è fatto. Adepti e proventi sicuri e, se non combini disastri, nessun controllo assicurato, … soprattutto se il tuo gruppo sportivo naviga nell’oscurità.
Onorarsi del titolo di Maestro, Mister, Coach, ecc. vuol dire farsi carico anche di grandi oneri e responsabilità.
Ogni singolo tecnico prima di manipolare chicchessia dovrebbe sapere quale ruolo educativo ha designato per se stesso, sapendo che le tipologie di praticanti sono le più disparate, tutte presentati eterogenee necessità, bambino, ragazzo, adulto, studente, lavoratore, casalinga, …., preagonista, agonista amatoriale, agonista professionista, master, ecc.
Difficile trovare un tecnico sportivo che si faccia domande tipo:
-          cosa vuole questo ragazzo da me?
-          cosa vuole da se stesso?
-          cosa vogliono da lui scuola, famiglia, gruppo amicale?
spesso il tecnico sportivo cerca di dare una risposta ad una sola domanda:
-          cosa voglio io da lui?
Le richieste del tecnico sportivo, e la sensibilità nei confronti delle esigenze dell’atleta sono “ovviamente” inversamente proporzionali al livello di attività svolto dall’atleta stesso, più elevata è la posizione sportiva del ragazzo maggiori sono le richieste di impegno motorio (tempo/energia), minori sono le sensibilità nei confronti delle diverse esigenze dell’atleta stesso.
Se per un sedicenne praticante amatoriale, di una qualsivoglia attività sportiva amatoriale, il ridurre l’impegno sportivo per una necessità scolastica è un dovere, per un ragazzo della stessa fascia di età (generalmente definito Juniores), se inserito in una squadra di livello nazionale o nella nazionale stessa di quella disciplina sportiva si ritrova a non potersi permettere una riduzione di impegno, anche momentaneo per altri motivi, anche di tipo scolastico … il rischio è l’essere esclusi dal team sportivo.
Al tecnico sportivo non interessano i problemi di vita del ragazzo … interessano i risultati
La politica
Ed eccoci giunti all’ultima grande e immensa nota dolente la politica.
Non parlerò dei grandi danni generati dalla politica sportiva, ovvero di quella forma di arrampicata sociale che operatori del settore sportivo fanno, all’interno di questo universo fatto per lo più di attività motorie, per acquisire il controllo di più o meno ampi settori gestionali. Con questo non dico che la politica sia sempre e solo dannosa in questo ambiente, dico solo che chi fa carriera politica dovrebbe appendere le scarpette al chiodo, è come se il giudice di un processo ne fosse anche l’avvocato (difesa o accusa non importa).
La politica di cui parlo in questo tedioso pamphlet è quella nazionale, quella che dovrebbe scrivere leggi e norme chiare, semplici, univocamente direttive.
Quella politica che scrive le norme per costruire le competenze e permette di lavorare solo chi si è costruito le competenze attenendosi alle norme, la stessa politica che dovrebbe scrivere le sanzioni a chi quelle norme non si attiene.
Una politica che vede nello sport un’utile strumento per aiutare i nostri ragazzi a mantenersi sulla retta via, un ottimo sostituto di alcool o sostanze psicotrope perché chi prova piacere a vivere il proprio corpo non necessita di altro.
Una politica che vada oltre gli sport di massa, ma veda anche in quelli di nicchia luoghi ove tanti ragazzi possono trovare fonti educativo sociali.
Una politica che premia chi fa vivere momenti aggregativi di sano confronto e, al contempo, punisca chi, attraverso la politica nello sport fomenta la disgregazione e la divisione.
Una politica che investa in un argomento che ancora genera PIL, all’interno di una società economicamente in crisi (Circa l'1,7% del prodotto interno lordo del Paese, una percentuale che raddoppia se si tiene conto dell'indotto sportivo, fonti CONI).
Una politica in grado di relazionare lo sport con scuola e salute.
Una politica in grado di vedere nel giovanissimo sportivo il futuro professionista, operaio, casalinga, dirigente, insegnante, tutore delle forze dell’ordine e, perché no? Del futuro politico.
Chiudo questo lungo e tedioso articolo con un passo tratto dal libro di Anthony De Mello “Messaggio per un’aquila che si crede un pollo”.
Un uovo d'aquila, messo nel nido di una chioccia si schiuse e l'aquila, cresciuta insieme ai pulcini, per tutta la vita fece quel che facevano i polli nel cortile. Un giorno vide sopra di lei un magnifico uccello: «Chi è quello?», chiese al vicino. «È l'aquila, la regina degli uccelli, ma non ci pensare. Tu ed io siamo diversi da lei». Così l'aquila non ci pensò e morì pensando di essere una gallina”.
Ricordando a tutti che il mondo dello sport è un’ulteriore strumento per apprendere  battere le ali e prendere il volo.
Dott. Maurizio Saravalli

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